Osservando la pittura di Walter Gentiluomo si inizia a subire il fascino delle forme e dei colori per poi seguirlo, in questa sua avventura, che costituisce un mondo in cui tutti gli elementi presenti rispondono ad una impareggiabile armonia, che è prima visione poetica e poi necessità espressiva.

Si avverte subito come le rappresentazioni di Walter Gentiluomo oltre l’apparenza descrittiva, scandita ora su movenze piacevoli di grazia e di serena compostezza, sono la via di accesso ad una weltanschauung che, in un momento storico come quello in cui viviamo, è una straordinaria testimonianza di fiducia nella certezza dei valori che vorremo recuperare: la pace dentro e fuori di noi; la pace tra le genti; la capacità di contemplazione, soffocata dall’incombente tumulto degli avvenimenti che ci circondano.

A differenza di chi è difficilmente collocabile, magari per eclettismo o per citazionismo, Walter Gentiluomo nel suo lavoro si pone con chiarezza e grande onestà intellettuale, in una specifica dimensione dell’Arte Contemporanea: il Surrealismo.

Questa collocazione sgombra il campo da ogni eventuale suggestione naive che è peraltro smentita da una formazione accademica solida e maturata a Reggio Calabria, a Bologna ed a Roma, con un background culturale che si avvia dalla lunga consuetudine con Van Gogh e Gauguin, proseguendo col pellegrinaggio laico nei luoghi di Dalì, non senza far propria l’esperienza futurista dell’Art Noveau e dello Jugendstil.

Del Surrealismo Walter Gentiluomo vive non solo le forme, ma i contenuti più autentici e le più forti spinte emozionali.

Chi si pone davanti ad un’opera di Walter Gentiluomo viene conquistato non solo per l’ immediatezza del raffinato linguaggio decorativo, per la compiutezza della capacità tecnica ma anche per la ricchezza dell’opera.

Lo spettro, più che la tavolozza, offre una totale reinvenzione dei colori primari e secondari, piegando l’olio, cui resta sempre fedele, ai virtuosismi solitamente praticati con gli acrilici, in una sorta di metafisica del reale, che li ridefinisce secondo le scansioni di una rappresentazione fortemente virtuale.

Il disegno, secondo cui i colori si dispongono, crea un ritmo di linee dall’imprevedibile allusività: gli sviluppi curvilinei cedono guizzi di saettanti dinamismi, che ci avvertono di come l’immagine sia più problematica di quello che l’estro decorativo, di per sé, potrebbe comunicare e ci riserba la scoperta di giochi di rapporti e di sottili ironie che, nell’opera più recente, lasciano ben presto il passo ad un’appagante fiducia, anzi certezza, in un mondo migliore, depurate come sono della più tormentata problematicità come delle applicazioni oniriche ed esoteriche della produzione precedente.

(Mauro Quinzi)